Questa storia comincia in un tempo imprecisato, circa 6-4 milioni di anni fa, quando i nostri antenati (i primi ominidi) scesero dagli alberi, non sappiamo ancora per quale motivo. Da quel momento cominciammo a distinguerci dalle scimmie. Anche se questa eredità sembra lontanissima, tutti noi ne abbiamo un ricordo indelebile stampato nella parte più profonda del nostro cervello: vi sarà capitato appena addormentati di avere la sensazione di cadere nel vuoto e sussultare nel letto. Ecco, quello è un riflesso che ci hanno lasciato i nostri antenati: è il ricordo di quando dormivano sugli alberi per sfuggire ai predatori e spesso cadevano rovinosamente giù.
Ma a un certo punto quindi gli ominidi hanno detto basta alle scomodità della foresta, sono scesi dagli alberi per andare a esplorare la savana. Il primo effetto di questa discesa è stato mettersi in piedi e liberare le mani. Anche le mamme avevano le mani libere e infatti i cuccioli di ominidi si aggrappavano alla pelliccia con le zampe: ancora oggi un neonato stringe la manina se gli date un dito (no, non vi sta dando consapevolmente la mano, è solo un riflesso di questa atavica abitudine).
Nei tempi lentissimi dell’evoluzione, con le mani libere abbiamo sviluppato il pollice opponibile e abbiamo scoperto le enormi potenzialità racchiuse nelle nostre mani. Abbiamo inventato la tecnica, la tecnologia. Abbiamo iniziato a scheggiare le pietre per le lance da caccia, a fare dei rudimentali coltelli per strappare la carne dalle carogne. E poi abbiamo imparato a conciare le pelli, a produrre ciotole e contenitori, poi gioielli e monili, poi abbiamo costruito le palafitte, inventato la ruota e così via fino agli smartphone.
Prima, quando vivevamo sugli alberi, non avevamo particolari qualità: il nostro cervello non era particolarmente grande, né eravamo particolarmente veloci, non eravamo né grossi né forti. Anzi, mangiavamo frutta e verdura e quando ci capitava qualche carogna lasciata da un predatore: mangiavamo gli avanzi crudi e avevamo mal di pancia per parecchie ore al giorno perché avevamo uno stomaco da erbivori.
Ma con la tecnologia tutto cambiò: imparammo a cacciare, ci abituammo lentamente ad un’alimentazione onnivora che ci dava più energie, diventammo più robusti e sempre più intelligenti, il nostro cervello aumentò di volume. Fino alla più grande scoperta tecnologica che cambiò per sempre il nostro destino: il fuoco.
Incendi, eruzioni, fulmini… gli uomini e tutti gli animali conoscevano il fuoco da sempre e lo temevano più di ogni altra cosa perché si alimentava veloce nelle foreste e distruggeva tutto senza lasciare scampo, alla scimmia come al leone. Ma nessuna specie prima dell’uomo era mai riuscita ad addomesticare il fuoco. Fu la capacità di accendere un fuoco, di conservarlo e di usarlo a permetterci di diventare la specie animale a dominare sull’intero pianeta, da che eravamo l’ultimo anello della catena alimentare. Grazie al fuoco abbiamo iniziato a cuocere la carne rendendola più digeribile e siamo diventati la specie più temuta da tutti gli altri animali, grandi predatori compresi. Ci siamo difesi con il fuoco e i predatori hanno smesso di cacciarci. Con il fuoco abbiamo mandato via orsi e leoni dalla caverne e le abbiamo abitate al loro posto: abbiamo inventato la casa.
E dentro le case abbiamo inventato la famiglia e poi la società: attorno al fuoco che scaldava, proteggeva dalle belve feroci, cuoceva i cibi e illuminava le notti abbiamo scoperto la socialità. Abbiamo guadagnato il tempo per stare insieme dopo una giornata di caccia e l’abbiamo riempito con il linguaggio: è stato allora che abbiamo iniziato a raccontarci le storie attorno al fuoco. E piano piano la parola ci ha dato la memoria (da tramandare) e ha costruito il pensiero simbolico. Abbiamo inventato l’aldilà e il culto dei morti. Abbiamo inventato l’educazione dei cuccioli che infatti hanno iniziato a sviluppare un cervello sempre più grande, ancora oggi sproporzionato rispetto al resto del corpo. Abbiamo inventato la bellezza (raccontando le storie) e l’arte (dipingendole sulle pareti delle nostre case).
Dobbiamo tutto quello che siamo e che sappiamo a queste storie raccontate ad alta voce attorno al fuoco. Tutto questo lentamente, in milioni di anni. Siamo diventati uomini non per un dono speciale di natura, ma solo grazie alla tecnologia e alla cultura. Senza tecnologia e senza cultura, staremmo ancora a dormire sugli alberi. Se avessimo seguito la nostra natura i nostri cuccioli sarebbero ancora il pasto di altri predatori, per la gioia di tutte le altre specie animali che senza di noi se la caverebbero meglio (per non parlare della salute dell’intero pianeta Terra).
Infine la storia della nostra specie comincia in Africa. I nostri antenati sono tutti africani, sono partiti dall’Africa e hanno migrato per milioni di anni, raggiungendo l’Europa, l’Asia, l’America. Sono partiti alla ricerca di nuove terre perché i repentini cambiamenti climatici ne mettevano a repentaglio la sopravvivenza, ma anche spinti da quella stessa curiosità che un giorno li aveva fatti scendere dagli alberi. Alcuni milioni di anni fa, praticamente ieri, ognuno di noi aveva un antenato africano che è migrato alla ricerca di un destino migliore. Anche questo ci ha reso umani
La storia dell’evoluzione non è la suggestiva immagine darwiniana: da una scimmia a un uomo in posizione sempre più eretta, con una testa sempre più grande e sempre meno peli addosso. L’evoluzione è stata un complesso mosaico di incroci: migrazioni, tentativi, esperimenti, adattamenti, causalità e casualità, estinzioni e successi inaspettati. Senza questa complessità, senza migrazioni, tecnologia e cultura non saremmo diventati la specie dominante sulla Terra.
E senza la consapevolezza di questa complessità ci metteremo poco ad estinguerci come i dinosauri, e non per una causa esterna come un meteorite. Se l’Antropocene, l’era geologica in cui siamo adesso dominata dall’uomo, finisse domani con una catastrofe nucleare la nostra specie probabilmente si estinguerebbe e in milioni di anni gli scarafaggi potrebbero diventare la nuova specie dominante. Gli scarafaggi hanno infatti un dono di natura: sono casualmente resistenti alla radioattività. Finora non è stato un grande vantaggio evoluzionistico, agli scarafaggi non è servito a molto: resistere alle radiazioni non li protegge dall’essere schiacciati sotto le nostre scarpe o uccisi dai nostri insetticidi.
Ma il giorno dopo la guerra nucleare che noi uomini scateneremo contro esemplari della nostra stessa specie, gli scarafaggi si ritroverebbero con il loro “fuoco” tra le zampe: l’immunità alle radiazioni e la possibilità di vivere e prosperare in un ambiente ostile all’uomo e alle altre specie.
E in milioni di anni magari potrebbero dar vita a una società migliore della nostra, una società in cui nessuno scarafaggio chiuderebbe i porti ad altri scarafaggi che migrano dall’Africa alla ricerca di un po’ di umanità.
LEGGETE AD ALTA VOCE AI VOSTRI BAMBINI PERCHE’ APPARTENERE AD UNA SPECIE NON FA DIRETTAMENTE DI NOI DEGLI ESSERI UMANI.
***Non leggete libri ai vostri bambini se volete solo riempire un contenitore, se volete solo insegnar loro le competenze, dar loro le skills per competere domani nel mondo del lavoro. “Diffidate dell’educazione” come Anniek Cojeak ricorda nella lettera che tutti gli anni il preside di un liceo americano scriveva ai suoi insegnanti. Era sopravvissuto ai lager nazisti e aveva visto con i suoi occhi camere a gas costruite dai migliori ingegneri, medici impeccabili che somministravano veleno ai bambini, infermiere provette che facevano esperimenti sugli ebrei e i rom; migliaia di uomini donne e bambini uccisi da diplomati e laureati, da solerti impiegati. L’obiettivo non è produrre “dei mostri educati, degli psicopatici qualificati, degli Eichmann istruiti. La lettura, la scrittura, l’aritmetica non sono importanti se non servono a rendere i nostri figli più umani“. ***
Oasi del Piccolo Lettore
Bibliografia:
Homo Sapiens e altre catastrofi, di Telmo Pievani, Meltemi
Libertà di migrare, di Telmo Pievani e Valerio Calzolaio, Einaudi
Il più grande uomo scimmia del Pleistocene, di Roy Lewis, Adelphi
Bibliografia per i bambini:
Sulle tracce degli antenati, di Telmo Pievani, Editoriale Scienza
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